Comfortably Numb

Comfortably Numb, ma non come i Pink Floyd

Se pensi che questo sia uno dei numerosi tentativi di interpretare una delle canzoni più famose dei Pink Floyd, ti sbagli. Non ci provo neanche per rispetto nei confronti dei miei amici fan dei Pink Floyd che ne saprebbero sicuramente molto più di me. Chissà, forse anche gli psicologi Brad Bushman e Craig Anderson sono fan dei Pink Floyd visto che hanno intitolato un loro studio sperimentale “Comfortably Numb” (Comodamente Insensibili).

Lo studio aveva l’obiettivo di valutare gli effetti della violenza mediatica sul comportamento umano. È emerso che le persone che vedono numerose scene di violenza in film o videogiochi sono più insensibili alla violenza nel mondo reale. Lo studio era svolto a grandi linee in questo modo. I partecipanti erano 320 studenti universitari, ragazzi e ragazze, a cui era stato detto che si intendeva solo capire quale fosse il videogioco preferito dai ragazzi, un escamotage per non influenzarli. I partecipanti erano stati suddivisi in due gruppi. Al primo era stato chiesto di giocare per 20 minuti a dei videogiochi violenti. Al secondo gruppo era stato chiesto di giocare per 20 minuti a dei videogiochi non violenti. Ovviamente nessuno dei partecipanti era al corrente di questa suddivisione dei videogiochi. Ciascuno di loro veniva lasciato solo nella stanza e, una volta terminato di giocare, cominciava a compilare un modulo con domande generiche consegnatoli all’inizio. Proprio mentre lo studente compilava il modulo, il responsabile dell’esperimento faceva partire una registrazione audio nella stanza accanto che inscenava una discussione animata e culminava in quella che sembrava una colluttazione violenta. Contemporaneamente all’avvio della registrazione audio, il responsabile azionava un cronometro per calcolare i secondi entro i quali i partecipanti sarebbero intervenuti per difendere chi sembrava essere in difficoltà.

La cosa interessante è che, oltre che in laboratorio, lo studio è stato condotto anche all’aperto. Questa volta i partecipanti vedevano un film con numerose scene violente e una volta usciti dal cinema passavano davanti a una situazione, creata a loro insaputa, in cui qualcuno era in difficoltà. Per esempio, una donna con una gamba ingessata che era caduta e che faceva fatica a recuperare le stampelle per rialzarsi oppure due persone che discutevano animatamente e uno dei due era in evidente difficoltà.

Ovviamente sono stati valutati altri aspetti in questo studio sperimentale per fare dei confronti, ma in conclusione il risultato è stato questo:

  • Chi era stato sottoposto a film o videogiochi violenti impiegava 72 secondi a intervenire per aiutare qualcuno in difficoltà o in pericolo.
  • Chi non era stato sottoposto a film o videogiochi violenti impiegava 18 secondi a intervenire per aiutare qualcuno in difficoltà o in pericolo.

Per qualcuno potrebbe sembrare una differenza quasi impercettibile, ma non lo è se valutiamo l’effetto che può avere un’esposizione a violenza mediatica prolungata nel tempo, soprattutto su menti ancora in fase di sviluppo come quelle dei bambini e degli adolescenti. Per violenza mediatica non intendo solo videogiochi e film, ma anche social media e programmi televisivi che ormai sono parte imprescindibile della nostra quotidianità.

Sia che si tratti di una mente giovane o adulta, stiamo correndo il rischio di alterare la nostra percezione della realtà, di non riconoscere chi è in pericolo o in difficoltà e proteggerlo, di non poter comprendere facilmente le emozioni e lo stato d’animo di un’altra persona. In poche parole: rischiamo di non entrare in empatia con gli altri. A quel punto potremo davvero correre il rischio di sentirci “comfortably numb”.